Sentenza n. 242 del 1982
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SENTENZA N. 242

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Avv. Oronzo REALE        

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), in relazione agli artt. 2 e 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), ed all'art. 699 del codice penale (Porto abusivo di armi), promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1975 dal Tribunale di Varese, nel procedimento penale a carico di Canale Remiro Bruno, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3 giugno 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Canale Remiro Bruno, imputato del reato di cui agli artt. 81 c.p., 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, e 2 legge 18 aprile 1975, n. 110, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, detenuto illegalmente e portato nella propria autovettura una pistola lanciarazzi, il Tribunale di Varese ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, 12 e 10 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, correlati agli artt. 2 e 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed all'art. 699 c.p., nella parte in cui tali norme puniscono come semplice contravvenzione il porto di arma comune da sparo, fuori della propria abitazione ed in luoghi diversi da quelli pubblici o aperti al pubblico e come delitto, invece, la mera detenzione della predetta arma.

Secondo il giudice a quo, la "nuova disciplina" che equipara, ad eccezione della misura della pena, le armi comuni da sparo a quelle da guerra (art. 14 legge n. 497 del 1974) riguarderebbe unicamente le ipotesi di porto in luogo pubblico o aperto al pubblico; viceversa, il porto fuori della propria abitazione, ma "come, nella specie, in luogo esposto al pubblico", quale é una autovettura, rimarrebbe disciplinato dalla norma dell'art. 699 c.p. che contempla una fattispecie semplicemente contravvenzionale.

D'altro canto, poiché nella fattispecie concreta la mera detenzione dell'arma appare assorbita nel porto della stessa arma, ne deriverebbe che un reato indubbiamente più grave come il porto fuori della propria abitazione, anche se in luoghi non pubblici né aperti al pubblico, verrebbe punito come semplice contravvenzione, mentre la detenzione in esso assorbita viene ad essere punita come un grave delitto.

Tutto ciò si sostanzierebbe in una grave lesione del principio di eguaglianza, in quanto colui che porta un'arma comune da sparo fuori della propria abitazione in luoghi diversi da quelli pubblici o aperti al pubblico, sussistendo le condizioni per l'assorbimento della detenzione nel porto, viene punito come semplice contravventore, mentre chi detenga, senza portarla, un'arma del medesimo tipo viene punito come autore di un grave delitto: una disparità di trattamento non giustificata da una diversità di situazioni giuridiche, posto che lo stesso legislatore considera il porto delitto ben più grave della detenzione nel caso che esso avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 3 giugno 1976.

É intervenuta avanti a questa Corte la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Deduce in primo luogo l'Avvocatura che la nozione di "luogo esposto al pubblico" é stata elaborata con esclusivo riguardo al reato di atti osceni di cui all'art. 527 c.p.: pertanto, il legislatore, quando, con l'art. 14 della legge n. 497 del 1974, si é riferito ai luoghi pubblici o aperti al pubblico, "ha inteso chiaramente, in applicazione del principio generale di specialità, punire in modo differenziato e notevolmente più pesante tutte le ipotesi di porto abusivo di armi comuni da sparo in luogo pubblico o aperto al pubblico, configurabili in precedenza nell'ambito della previsione di cui all'art. 699 c.p.".

Ne consegue che il porto d'arma, quando ci si avvalga di un'autovettura come strumento di trasporto, é porto in luogo pubblico o aperto al pubblico a seconda di dove circoli l'autovettura stessa, la quale funge perciò da mezzo nella commissione del delitto, che in tanto sussiste in quanto sia pubblico o aperto al pubblico il luogo in cui la circolazione (e, quindi, il porto dell'arma) avviene.

In secondo luogo, anche ad accogliere l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di porto assorbe quello di detenzione (del che é fortemente da dubitare, trattandosi di condotte cronologicamente coesistenti, ma a contenuto materiale chiaramente differenziato), tale assorbimento si potrebbe determinare, tutt'al più, tra l'art. 699 e l'art. 697 c.p., e non anche tra l'art. 699 c.p. e l'art. 10 della legge n. 497 del 1974: sarebbe "contro ogni canone di corretta soluzione di un preteso problema di concorso apparente di norme" far assorbire "un'ipotesi criminosa più grave in un'ipotesi criminosa meno grave".

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Varese dubita che il combinato disposto "degli artt. 14, 12 e 10 legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione agli artt. 2 e 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed all'art. 699 c.p., nella parte in cui punisce come semplice contravvenzione il porto di arma comune da sparo, fuori della propria abitazione ed in luoghi diversi da quelli pubblici o aperti al pubblico, e come delitto la mera detenzione", sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Più precisamente, il fatto che la detenzione illegale di un'arma comune da sparo integri sempre l'ipotesi delittuosa di cui agli artt. 14 e 10 legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione all'art. 2 legge 2 ottobre 1967, n. 895, mentre il porto illegale di un'arma comune da sparo integrerebbe l'ipotesi delittuosa di cui agli artt. 14 e 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione all'art. 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, soltanto quando tale porto avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico (limitandosi a dar vita all'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 699 c.p. allorché, invece, esso avvenga fuori della propria abitazione in luoghi diversi da quelli pubblici o aperti al pubblico), si tradurrebbe, ad avviso del giudice a quo, in una disparità di trattamento non ragionevolmente giustificabile. E ciò non solo e non tanto perché il porto illegale di un'arma fuori della propria abitazione, anche se in luoghi non pubblici né aperti al pubblico, sarebbe "un reato indubbiamente più grave" della semplice detenzione, come dimostra lo stesso legislatore con il "considerare il porto ben più grave reato della detenzione tanto da averlo trasformato in delitto nel caso che esso avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico"; quanto e soprattutto perché "nella fattispecie che ne occupa" il porto abusivo "appare assorbente rispetto alla mera detenzione", con la conseguenza che quest'ultima, se venisse ravvisata di per sé sola, risulterebbe punita più gravemente della detenzione "assorbita" nel porto al di fuori della propria abitazione, in luoghi non pubblici né aperti al pubblico, dell'arma indebitamente detenuta.

2. - Il riferimento dell'ordinanza di rimessione alla "fattispecie che ne occupa", utilizzato per motivare la prospettazione della questione in esame, impone un'attenta analisi della fattispecie concreta, ai fini appunto dell'esatta individuazione dei termini della questione dedotta, oltreché, ovviamente, in ordine alla sua rilevanza.

Tale analisi permette di evidenziare, innanzi tutto, che la tesi dell'"assorbimento" della detenzione illegale da parte del porto illegale, propugnata dalla stessa ordinanza nei sensi già ricordati, trova il suo punto d'avvio nell'esistenza di un'accusa contestata mediante addebito all'imputato sia del fatto della detenzione illegale sia del fatto del porto illegale, pur uniti dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.): una imputazione, cioè, la cui duplicità di contenuto il giudice a quo sembra ritenere non configurabile nella specie, invocando al riguardo l'insegnamento della Corte di cassazione.

Ma, prima ancora di verificare, ammesso che ciò occorra, quale sia l'effettivo atteggiarsi dei rapporti tra detenzione e porto abusivi nella giurisprudenza della Corte di cassazione, un'ulteriore analisi si rende comunque necessaria, data l'influenza che sulla soluzione dei problemi coinvolgenti le articolate tematiche del concorso di norme e del concorso di reati non possono non avere le modalità del singolo caso concreto: il che é tanto più vero quando viene in gioco l'intricata materia della legislazione sulle armi, con il susseguirsi ed incrociarsi delle sue leggi speciali, con le varie tipologie degli strumenti offensivi, con la molteplicità delle ipotesi diversamente combinabili.

Da questa più approfondita, indispensabile, analisi della "fattispecie che ne occupa" emerge, fra l'altro, che oggetto della detenzione e del porto abusivo é qui una pistola lanciarazzi completa anche di caricatore, un'arma considerata da sparo ai sensi dell'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, norma pure essa richiamata nel capo d'imputazione, e che il porto di tale arma "fuori della propria abitazione" é avvenuto "in luogo esposto al pubblico" e, più in particolare, "a bordo della propria autovettura".

La questione sottoposta al vaglio della Corte va, quindi, ridimensionata, anche ai fini della rilevanza, nel senso che il combinato disposto eventualmente in contrasto con l'art. 3 Cost. dev' essere inteso con riferimento non ad un generico porto illegale di un'arma comune da sparo "fuori della propria abitazione" in qualsiasi luogo diverso "da quelli pubblici o aperti al pubblico", bensì al porto di un'arma comune da sparo in quel particolare luogo esposto al pubblico che é un'autovettura: la situazione, appunto, dalla quale ha preso le mosse ed alla quale guarda l'ordinanza di rimessione nel prospettare il presente dubbio di legittimità costituzionale. In sintesi, si tratta di accertare se sia in contrasto con l'art. 3 Cost. il combinato disposto che, secondo il giudice a quo, punisce come semplice contravvenzione il porto di arma comune da sparo a bordo di un'autovettura e come delitto la mera detenzione della stessa arma.

3. - La questione non é fondata perché l'ordinanza di rimessione adotta quale presupposto un'interpretazione della normativa riguardante il porto illegale di armi che é sempre stata disattesa dalla Corte di cassazione. Da anni, anzi da sempre, la sua giurisprudenza é costante nel ritenere che l'ipotesi delittuosa di cui agli artt. 14 e 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione all'art. 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, trova applicazione anche nei casi di porto abusivo di un'arma comune da sparo a bordo di un'autovettura, solo che l'arma sia in condizioni di funzionalità e disponibilità, con conseguente esclusione dell'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 699 c.p. Il diritto vivente é, quindi, agli antipodi dell'interpretazione prospettata dal giudice a quo, così da far venir meno già in partenza, allorché si tratti di un'arma da sparo portata su un'autovettura, la base stessa per un discorso in termini di disparità tra il porto-contravvenzione e la detenzione-delitto.

Del resto, il problema interpretativo risolto dalla Corte di cassazione in termini antitetici a quelli prospettati dal giudice a quo non é nuovo, nel senso che non é nato con la legge 14 ottobre 1974, n. 497. Fin dalla legge 2 ottobre 1967, n. 895, un analogo problema si era posto per le armi da guerra, divenute già allora oggetto di ipotesi delittuose sia per il caso di detenzione (art. 2) sia per il caso di porto in luogo pubblico od aperto al pubblico (art. 4), ed era stato risolto dalla Corte di cassazione nel senso di ricondurre anche il porto di tali armi a bordo di un'autovettura nell'ambito dell'art. 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, anziché nell'ambito dell'art. 699 c.p.

Due sono le linee argomentative, peraltro convergenti in quanto non in alternativa, di cui si avvale la Corte di cassazione per confutare la tesi contraria a ritenere applicabili al porto illegale di armi su un autovettura gli artt. 14 e 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497, correlati all'art. 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895.

Considerato che tale tesi, imperniata soprattutto sulla differenziazione tra luogo pubblico, luogo aperto al pubblico e luogo esposto al pubblico, ricorrente con frequenza nel codice penale (artt. 299, 527, 654, 657, 663, secondo comma, 666, 667, 726, primo comma, 727, secondo comma, c.p.), intende il riferimento all'"in luogo pubblico o aperto al pubblico" da parte degli artt. 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895, e 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497, in senso strettamente letterale, così da escludere l'applicabilità ai luoghi esposti al pubblico, comprese, quindi, le autovetture (v., del resto, artt. 352, 404, 405, 660, 663, primo comma, 670, 688, 689, 690, 718, 720, 725, 726, secondo comma, c.p.), il primo iter argomentativo si preoccupa di sottolineare - con più particolare riguardo al reato di atti osceni (art. 527 c.p.) ed al reato di atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.), cioè ai reati in ordine ai quali la nozione di luogo esposto al pubblico é stata maggiormente approfondita - quale differenza intercorra tra l'estremo della pubblicità ai fini del reato di porto illegale di armi od esplosivi e l'estremo della pubblicità ai fini dei reati concernenti il pudore. Mentre in questi - precisa la Corte di cassazione - l'estremo della pubblicità é in funzione della tutela della riservatezza di taluni atti e, perciò, della necessità di evitare che gli stessi possano essere visti da altri, nel porto illegale di armi od esplosivi l'estremo della pubblicità é in funzione della maggior pericolosità che tale porto presenta ove avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico, a nulla rilevando in contrario che il porto avvenga percorrendo in autovettura una pubblica via. Qui l'autovettura non costituisce il luogo in cui viene commesso il reato, quanto il mezzo del quale l'agente si é servito per perpetrarlo, "portando", appunto, grazie ad essa l'arma o l'esplosivo in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Il secondo iter argomentativo muove dalla premessa che, per la configurabilità del reato di porto d'armi in luogo pubblico o aperto al pubblico, non é richiesto che l'arma sia "portata addosso" dal reo in un luogo avente tale carattere di pubblicità, bastando che in un luogo del genere la stessa si trovi nella diretta disponibilità dell'agente con possibilità di concreta utilizzazione, e ne trae la conseguenza che il reato in discussione sussiste quando l'arma sia portata nell'interno di un'autovettura che circoli o comunque si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico, con concreta possibilità di pronta utilizzazione.

In conclusione, e qui le due linee argomentative si trovano a convergere, ciò che conta, trattandosi di un reato di pericolo, non é il mezzo usato per il porto in luogo pubblico od aperto al pubblico, bensì la relazione tra l'oggetto e l'agente, tale da consentire a quest'ultimo di mettere agevolmente in atto quelle azioni la cui concreta possibilità costituisce di per sé solo pericolo.

Questa corretta interpretazione della norma, reiteratamente ribadita dalla Corte di cassazione, con l'escludere la denunciata non razionale disparità di trattamento fra il porto illegale e la detenzione illegale di armi, fa, dunque, cadere il presupposto della dedotta questione di legittimità, dimostrandone non soltanto l'infondatezza, ma rendendo, altresì, superflua ogni ulteriore considerazione sul problema dei rapporti tra la detenzione illegale di un'arma ed il porto illegale di essa a bordo di un'autovettura, problema prospettato dal giudice a quo sulla base del preteso assorbimento della detenzione-delitto nel porto-contravvenzione, reato che, anche a tutto concedere quanto all'assorbimento, é da vedersi, invece, come porto-delitto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, 12 e 10 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione agli artt. 2 e 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, ed all'art. 699 c.p., come sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Varese con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1982.